Amministratori

Nessun sospetto di incostituzionalità sulla norma

di Andrea Alberto Moramarco

Possono partecipare alle elezioni per la carica di presidente della Provincia soltanto i sindaci dei Comuni della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dalla data di svolgimento delle elezioni. La regola, posta dall'articolo 1, comma 60, della legge 54/2014, Riforma Delrio sul riordino delle Province e Città metropolitane, ha carattere precettivo, con la conseguenza che non è possibile la candidatura di sindaci con meno di 18 mesi di mandato residui. A chiarirlo è il Consiglio di Stato con la sentenza n. 744/2017 con la quale i giudici amministrativi hanno ritenuto la disposizione normativa non sospetta di incostituzionalità, in virtù delle sue finalità e della natura di secondo livello dell'organo provinciale.

Il tenore testuale della norma
Innanzitutto, afferma Palazzo Spada, l'Ufficio elettorale provinciale non aveva il potere di sindacare il requisito di partecipazione in questione, in quanto estraneo alla propria competenza. D'altra parte, neanche può ritenersi che una disposizione di legge elettorale «possa essere interpretata da un Sottosegretario di Stato mediante un parere», dal recepimento del quale derivi un «vincolo giuridico allo svolgimento da parte dell'Ufficio elettorale provinciale dei propri compiti istituzionali di applicazione delle disposizioni normative». Ciò posto, il Collegio ritiene che, «di fronte al tenore testuale univoco dell'articolo 1, comma 60, della legge 56/2014, non vi sia alcuno spazio interpretativo che possa essere esercitato sia in sede di indizione dei comizi che in sede di valutazione delle candidature».

La conformità costituzionale della disposizione
La decisione del Consiglio di Stato, a ogni modo, è importante per l'analisi della tenuta costituzionale dell'articolo 1, comma 60, della legge Delrio. I giudici amministrativi si chiedono, infatti, se la previsione di un requisito di partecipazione particolare, come quello di almeno 18 mesi prima della scadenza del mandato, «possa comportare una compressione della potenziale rappresentatività degli organi di governo delle organizzazioni territoriali locali, che costituisce esplicazione del principio democratico sancito dall'art. 1 della Costituzione»; o ancora possa «ledere la libertà di associazione dei partiti, essendo relativa esclusivamente a condizioni di candidabilità/eleggibilità».
La risposta a questo interrogativo è, tuttavia, negativa, nonostante l'applicazione della disposizione in esame abbia determinato l'esclusione di ben 52 sindaci sui 61 della provincia, i quali hanno un mandato residuo inferiore ai 18 mesi, nonché escluso la possibilità di scegliere tra candidati di parti politiche differenti.
Per il Collegio la norma non è sospetta di incostituzionalità ed è espressione del principio di buon andamento dell'organizzazione amministrativa, in quanto la ratio della disciplina è quella «di assicurare stabilità all'organo presidente della provincia», evitando di dover ripetere le elezioni prima che sia trascorso un tempo minimo, «contenendo la frequenza delle tornate elettorali e tendenzialmente diminuendo le risorse necessarie allo svolgimento delle competizioni nonché gli eventuali ulteriori inconvenienti che possono presumersi connessi all'esistenza di una campagna elettorale c.d. permanente». A ciò va aggiunto che l'esistenza di un mandato avente una durata minima prestabilita consente di individuare un «indice presuntivo della permanenza di un legame con l'elettorato locale di cui il presidente è stato espressione, e con esso di rappresentatività politica». E, infine, tale potenziale compressione è frutto di una scelta non irragionevole da parte del Legislatore, «considerando che si tratta di eleggere un organo provinciale c.d. di secondo livello e che quindi, in certa misura, l'esplicazione della sovranità popolare e del principio democratico può ritenersi garantita a monte, nel corretto svolgimento delle elezioni degli organi comunali chiamati poi a loro volta a votare quelli provinciali».

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