Amministratori

Interdittiva antimafia anche sulle autorizzazioni

di Paolo Canaparo

Gli elementi che possono essere utilizzati dai prefetti per decidere sull’interdizione antimafia sono stati oggetto di una sentenza del Consiglio di Stato. Una pronuncia che fornisce importanti indirizzi in un ambito di grande delicatezza strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97 della Costituzione) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (articolo 3, comma secondo, della Costituzione), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo.

La sentenza
La sentenza n. 5978/2018 affronta il tema se le informative antimafia possano esplicare il loro effetto interdittivo anche sui provvedimenti meramente autorizzatori.
La vicenda ha riguardato un’interdittiva da parte dell'Utg di Foggia e il conseguente atto con cui un Comune ha revocato l'autorizzazione al funzionamento di una residenza socio-assistenziale per anziani. Il procedimento era stato avviato da una richiesta formulata dall'ente locale in basa all'articolo 100 del Dlgs 159/2011, essendo stato il Consiglio comunale sciolto per infiltrazioni mafiose, sicché, anche ai fini del rilascio di atti autorizzatori, la documentazione antimafia doveva essere acquisita nella forma, più penetrante, della informazione in base all’articolo 91 del Codice antimafia e non, come previsto nei casi ordinari per tale tipologia di autorizzazione, nella forma della comunicazione.

Gli effetti dell'interdittiva sulle Scia
Nell'appello, la società interessata ha sostenuto che la determinazione con cui il Comune ha preso atto dell'informativa prefettizia antimafia e ha dichiarato la sopravvenuta inefficacia delle Scia si poneva in contrasto con le norme e i principi del Codice antimafia, in quanto non conteneva «l'attestazione della sussistenza di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all'articolo 67» e si limitava, invece, a rappresentare un possibile tentativo di infiltrazione mafiosa nell'attività imprenditoriale. Ragione per cui il provvedimento comunale si fondava – secondo l'appellante - su un presupposto insussistente e era comunque fuori luogo l'estensione degli effetti dell'interdittiva alle segnalazioni certificate di inizio attività, attraverso il richiamo all'articolo 89, comma 2. Per l'appellante neppure appariva condivisibile l'interpretazione degli articoli 94, comma 2 e 92, comma 3, riportata nel provvedimento comunale, perché deve ritenersi estraneo agli effetti dell'interdittiva atipica il novero degli atti aventi natura meramente autorizzativa (cioè gli atti ampliativi a contenuto non patrimoniale), rispetto ai quali non si pone l'esigenza di preservare le risorse pubbliche da scelte che potrebbero rivelarsi inadeguate sotto il profilo della professionalità e onorabilità del beneficiario.
Anche l'articolo 100 del Codice antimafia deve ritenersi riferito unicamente agli atti ampliativi a contenuto patrimoniale, ovvero ai provvedimenti amministrativi che consentano all'impresa di accedere a benefici economici e risorse pubbliche. Pertanto, le segnalazioni di inizio attività di affittacamere, albergo e somministrazione di alimenti e bevande esulerebbero - in quanto esclusivamente finalizzate all'esercizio dell'attività imprenditoriale - dall'ambito applicativo dell'informazione prefettizia interdittiva rilasciata a carico della società ricorrente; mentre la Scia, in quanto titolo autorizzativo finalizzato all'esercizio dell'attività imprenditoriale, rientrerebbe nel novero degli atti ampliativi a contenuto non patrimoniale, sui quali non possono prodursi gli effetti interdittivi dell'informazione antimafia emessa a carico della ricorrente.

I controlli antimafia sulle autorizzazioni
In ordine alla questione centrale, la Sezione III del Consiglio di Stato ha confermato che la disciplina dettata dal Dlgs 159/2011 consente l'applicazione delle informazioni antimafia anche ai provvedimenti a contenuto autorizzatorio, sottolineando la tendenza del legislatore al superamento della rigida bipartizione e della tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni, a fronte della sempre più frequente constatazione empirica che la mafia tende a infiltrarsi capillarmente in tutte le attività economiche, anche quelle soggetto a regime autorizzatorio o a Scia.
In particolare, la legge 136/2010 ha introdotto nell'articolo 2 che reca la specifica delega al Governo per l'emanazione di nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, il comma 1, lettera c), che ha istituto la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all'accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell'attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa».
È evidente – per il Consiglio di Stato - che l'articolo 2, comma 1, lettera c) si riferisca a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti, come fanno invece, ed espressamente, le lettere a) e b). Lo stesso Consiglio di Stato ha aggiunto il riferimento all’evoluzione dell'ordinamento che individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l'attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a Scia.

La mancata partecipazione procedimentale
Quanto all'assenza di una partecipazione procedimentale, il Consiglio di Stato ha richiamato la sentenza n. 565/2017 i cui si osserva che «la delicatezza di tale ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all'autorità amministrativa, può comportare anche un'attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e a ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale, vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo».
Il contraddittorio procedimentale non è del tutto assente nemmeno nelle procedure antimafia, stante che l'articolo 93, comma 7, del Dlgs 159/2011 stabilisce che «il prefetto competente al rilascio dell'informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile». Dunque è, semmai, in sede di procedimento prefettizio che il contraddittorio può svilupparsi e non già in sede di adozione dei provvedimenti amministrativi necessitati e consequenziali all'adozione di una interdittiva prefettizia antimafia.

Gli imprenditori soggiogati alla mafia
La terza sezione del Consiglio di Stato, infine, ha richiamato la propria giurisprudenza con cui ha chiarito che persino imprenditori soggiogati dalla forza intimidatoria della mafia e vittime di estorsioni siano passibili di informativa antimafia, perché le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, tipizzate dal legislatore, comprendono una serie di elementi del più vario genere e, spesso, anche di segno opposto: tant'è che nela decisione n. 3506/2016 la stessa Sezione ha ritenuto espressamente «non determinante» il comportamento di «resistenza» tenuto nei confronti degli atti di intimidazione subiti.
Allo stesso modo, non è rilevante la circostanza dell'incensuratezza in quanto i fatti che l'autorità prefettizia deve valorizzare prescindono dall'atteggiamento antigiuridico mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti: per cui anche la situazione di incensuratezza è stata ritenuta non rilevante, in quanto «le interdittive non costituiscono provvedimenti latamente sanzionatori e la finalità anticipatoria dell'informativa è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante. Il provvedimento non deve quindi necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi» (Sezione III, 12 settembre 2017 n. 4295).

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5978/2017

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