Amministratori

Danno all'immagine da risarcire anche se la corruzione è prescritta

di Michele Nico

Con la sentenza n. 249/2017 la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per l'Emilia Romagna, ha condannato un agente ausiliario al risarcimento per danno d'immagine alla Polizia di Stato, in relazione ad atti contrari ai doveri d'ufficio che il Tribunale di Bologna, con una decisione del 2008, ha inquadrato nella fattispecie del reato di corruzione.

Il caso
Il giudice di primo grado ha infatti accertato che il dipendente delle forze dell'ordine, addetto al call center della Questura al servizio di registrazione degli appuntamenti sulle pratiche per il permesso di soggiorno, riceveva somme di denaro per velocizzare l'iter delle pratiche ponendo in essere ulteriori attività illecite penalmente rilevanti.
In questo contesto, l'aspetto singolare della vicenda al vaglio della magistratura sta nel fatto che la condanna dell'agente di polizia per danno all'immagine fa seguito alla pronuncia del 2013 con cui la Corte di appello di Bologna, II Sezione penale, riesaminando la suddetta sentenza del Tribunale, ha prosciolto il convenuto dalla condanna per corruzione, stante l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

La decisione
Entrando nel merito dei fatti in causa, i giudici svolgono un'accurata ricostruzione della vicenda e concludono che la pronuncia di non luogo a procedere per prescrizione non cancella il disvalore dell'illecito connesso all'episodio criminoso, per il fatto che il reato estinto, nel nostro ordinamento giuridico, per molti aspetti continua ad assumere rilevanza penale, come dimostra il fatto che di esso si tiene conto ai fini della dichiarazione dell'abitualità e professionalità nel reato (articolo 106 del codice penale), come pure l'estinzione del reato presupposto non comporta l'estinzione del reato che lo presuppone (articolo 170 del codice penale), né detta circostanza fa venir meno l'aggravante di pena dipendente dalla connessione (articolo 170, ultimo comma, del Cp).
L'esito della causa non appare in ogni caso scontato, come si intuisce dal fatto che il collegio si cimenta a contraddire con ampie argomentazioni un ben diverso orientamento della giurisprudenza, secondo cui con la prescrizione del reato verrebbe meno l'interesse dello Stato alla punizione del colpevole anche ai fini della perseguibilità del danno all'immagine.
Tante pronunce di segno contrario non dissuadono però la Sezione dal sostenere che la dichiarazione di non doversi procedere per prescrizione del reato accertato in prime cure non pregiudica la condicio iuris per l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dell'agente convenuto per danno all'immagine della Polizia di Stato.
L'episodio criminoso, scrivono i giudici, «condivisibilmente qualificato dal Tribunale come corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio (…) certamente arreca un vulnus al bene-interesse salvaguardato dal principio costituzionale dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.), declinato come prestigio, credibilità e corretto funzionamento degli uffici pubblici», e come tale va trattato ai fini del danno prodotto all'immagine della Pa.
La sola attenuante riconosciuta dal collegio è l'applicazione del criterio equitativo di cui all'articolo 1226 del codice civile, con una conseguente riduzione dell'entità del danno da risarcire, anche tenuto del notevole clamor fori generato dai gravi fatti in contestazione.

La sentenza della Corte dei conti Emilia Romagna n. 249/2017

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