Amministratori

Appropriazione indebita di denaro e abuso del sistema informatico per i dipendenti della partecipata che incassano i soldi delle bollette

di Federico Gavioli

Rispondono dei reati di peculato, falso materiale e ideologico in atto pubblico ma anche di abuso del sistema informatico due dipendenti di una società partecipata integralmente dal Comune i quali avevano creato un sistema fraudolento con il quale riuscivano a incassare i soldi dei contribuenti ignari, attestando falsamente, sulla banca dati della società, il pagamento. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 57521/2017, ha confermato quanto già espresso dalla Corte d’appello.

Il sistema architettato
I due imputati erano stati condannati dalla Corte d’appello alla pena di anni cinque di reclusione; secondo la tesi accusatoria i due dipendenti avevano selezionato alcuni utenti, spesso legati da rapporti di amicizia, per proporre la possibilità di pagare le bollette per il consumo idrico direttamente presso di loro, in contanti, al fine di evitare a quest'ultimi lunghe file d’attesa presso gli sportelli preposti al pagamento; questi contribuenti ignari consegnavano ai due dipendenti i soldi in contanti, ricevendo in cambio bollettini postali previamente falsificati, a dimostrazione dell'avvenuto versamento del dovuto, ovvero altrettanto false attestazioni di pagamento apposte sulle fatture emesse dalla società con l'utilizzo del timbro della società. I due imputati poi provvedevano ad introdursi abusivamente nel sistema informatico di contabilità della società e ad alterare i dati contenuti, al fine di far figurare come pagate le bollette il cui importo era stato loro consegnato in contanti dagli utenti.

La sentenza della Cassazione
La Cassazione ha ritenuto, sulla scorta dell'articolo 615-ter n.1 del codice penale che prevede, quale circostanza aggravante, che il fatto sia commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio «con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio» rientrare nell'ambito della fattispecie incriminatrice in esame la condotta di accesso o mantenimento nel sistema informatico che, pur avvenuta «a seguito di utilizzo di credenziali proprie dell'agente ed in assenza di ulteriori espressi divieti in ordine all'accesso ai dati, si connoti, tuttavia, dall'abuso delle proprie funzioni da parte dell'agente, rappresenti cioè uno sviamento di potere, un uso del potere in violazione dei doveri di fedeltà che ne devono indirizzare l'azione nell'assolvimento degli specifici compiti di natura pubblicistica a lui demandati».

Da questa pronuncia deriva il principio di diritto che integra il delitto previsto dall'articolo 615 ter, secondo comma, n. 1, del Codice penale (Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico), la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l'accesso , acceda o si mantenga nel «sistema per ragioni ontologicamente estranee e comunque diverse rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli è attribuita».

La sentenza della Cassazione n. 57521/2017

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