Amministratori

Doppio test su platea e livello degli importi

Le norme sull’equo compenso al banco di prova dell’applicazione pratica. È probabile che le grandi imprese ne terranno subito conto e adegueranno le loro convenzioni, un po’ com’è avvenuto quando sono state introdotte le norme sui contratti con i consumatori. Le vicende iniziali della legge – con i suoi punti di equilibrio e l’estensione a tutti i professionisti – non hanno però contribuito alla linearità del testo. Anche i ritocchi apportati con la legge di Bilancio mostrano qualche incertezza nella redazione.

I nodi da sciogliere

Anzitutto, a chi si applicano le norme? Dal lato dei clienti l’elencazione è chiara: banche, assicurazioni e in generale le grandi imprese. Qualche problema potrà nascere dall’esclusione degli agenti della riscossione, disposta con la legge di Bilancio. Sono comprensibili le preoccupazioni di finanza pubblica che la giustificano. Non sarà però facile trovare un motivo spendibile per spiegare la diversità di trattamento. Dal lato dei professionisti, la situazione è stata da subito incerta. Di sicuro le tutele valgono per gli avvocati, per le attività di difesa in giudizio e per la consulenza connessa all’attività giudiziale. Dall’altro lato, le tutele sono estese «per quanto compatibile» ai «professionisti» considerati dalla legge 81/2017, il Jobs act del lavoro autonomo. In realtà, questa legge rinvia a sua volta al lavoro autonomo del Codice civile, nozione molto ampia che non ha necessariamente contenuto intellettuale. Rimane così il dubbio se il rinvio includa tutti i prestatori d’opera – nel caso, anche quelli che applicano contratti “tipici” (come i mediatori) – o solo quelli intellettuali, iscritti o meno in ordini e collegi.

Il livello dell’equo compenso sarà un altro problema. Per gli avvocati e le professioni regolamentate già incluse nei decreti ministeriali sui parametri giudiziali, non vi saranno difficoltà particolari. Per tutte le altre professioni autonome, che potrebbero anche non essere “intellettuali”, parametri del genere mancano ed è inverosimile che siano adottati. Si dovrà ricorrere a criteri residuali e meno dettagliati. La legge di Bilancio ha per certi versi accentuato queste difficoltà, prescrivendo che l’equo compenso sia «conforme» a parametri che potrebbero non esistere affatto. Insomma, la riforma è stata estesa a tutte le professioni ma sempre con l’occhio rivolto a quelle ordinistiche.

L’applicazione nella Pa
I rapporti con la Pa, che il legislatore ha pensato di isolare con un regime di favore, potrebbero essere quelli più problematici. Le pubbliche amministrazioni applicano l’equo compenso solo ai nuovi affidamenti e in termini di principio. Di regola, tuttavia, gli affidamenti di servizi professionali avvengono con una gara di ribassi su una base d’asta, che finirà per essere condizionata dall’equo compenso. Con le modifiche della legge di Bilancio questo vincolo si è fatto più stringente, perché l’equo compenso ora deve essere «conforme» ai parametri ministeriali. I primi riflessi non si sono fatti attendere. In un parere reso poco prima di Natale - sulle linee guida Anac sui servizi di progettazione – il Consiglio di Stato ha rammentato che la determinazione della base di gara va coordinata con il principio dell’equo compenso del Dl 148/2017. L’idea che la riforma fosse a costo zero per l’amministrazione, espressa con la formula rituale sull’invarianza della spesa pubblica, potrebbe rivelarsi ottimistica.

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