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Comuni lenti con le autorizzazioni: la Regione può revocare gli incentivi

Se il Comune tarda a rilasciare i permessi propedeutici alla realizzazione dell’ investimento , la Regione può revocare gli incentivi riconosciuti all’impresa che li attende.
Lo ha sancito a chiare lettere il Consiglio di Stato (sentenza n. 4310/2017, pubblicata il 12 settembre), che, ribaltando la decisione del Tar Molise , ha confermato il provvedimento di revoca delle agevolazioni emanato dalla Regione Molise a carico di un’impresa che, per i ritardi burocratici del Comune di Termoli, sul quale doveva realizzare uno stabilimento, non ha potuto rispettare i tempi previsti dal bando incentivi per la conclusione dell’investimento.

Il caso
Si discute degli incentivi del Por 2000/2006. Ad un’impresa molisana viene riconosciuto un contributo per la realizzazione di un investimento produttivo. A fronte del progetto approvato, l’impresa beneficiaria richiede al Comune di competenza il permesso a costruire l’opificio agevolato. Il Comune nicchia e la stessa Regione interviene per sollecitare l’adozione del provvedimento concessorio. Alla fine, comunque, il Comune nega l’autorizzazione e l’impresa si ritrova ad essere inadempiente rispetto ai rigidi termini di realizzazione dell’investimento previsti dal bando. Nelle more, comunque, l’impresa avvia un braccio di ferro con l’ente locale impugnando prima davanti al Tar, dove ha la peggio, e poi davanti al Consiglio di Stato, il provvedimento di diniego a costruire, ottenendo da quest’ultimo una prima ordinanza di accoglimento ed una successiva che obblighi ad adempiere il Comune intimato che, ancora una volta, rallentava l’iter.
Alla fine l’impresa ottiene l’agognato permesso a costruire. Troppo tardi però.
Nel frattempo, infatti, la Regione comunicava all’impresa la revoca delle agevolazioni per non aver rispettato i tempi di conclusione dell’investimento.
L’impresa si trova punto e a capo e avvia un nuovo contenzioso, questa volta con la Regione, per impugnare il provvedimento di revoca delle agevolazioni. Il ricorso non può che fondarsi sull’assenza di ogni responsabilità in capo all’impresa per i ritardi accumulati, ascrivibili tutti al comportamento dilatorio del Comune.
Il Tar locale accoglie il ricorso dell’impresa, riconoscendo una evidente responsabilità del terzo (il Comune) per l’inadempimento dell’impresa, ordinando la conservazione degli incentivi.

La decisione
Non finisce qui, perché la Regione ricorre al Consiglio di Stato. Ed è qui che per l’impresa si realizza la completa disfatta. Il tribunale adito, infatti, ha evidenziato che la chiusura dell’investimento entro i termini prestabiliti dal bando costituiva un impegno cui l’impresa si era vincolata con la Regione a fronte del contratto di finanziamento sottoscritto e, per questo, inderogabile ed inviolabile, anche se per responsabilità evidente del terzo.
«È sufficiente - rilevano i giudici di Palazzo Spada - richiamare gli obblighi cui si era vincolata la beneficiaria, obblighi pacificamente violati sia quanto al mancato possesso della concessione edilizia, sia quanto alla mancata ultimazione degli investimenti, malgrado la proroga dei termini al 30 giugno 2010». I giudici concludono poi che non «può sostenersi, come dedotto suggestivamente dall’appellata, che la revoca dei contributi sia intervenuta senza consentirle la dovuta partecipazione procedimentale e sia conseguentemente per tale profilo illegittima: fermo restando che la revoca costituisce conseguenza di impegni convenzionalmente assunti, è sufficiente rilevare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la norma in tema di partecipazione procedimentale deve essere interpretata in senso sostanziale e non meramente formale». E quindi «il relativo vizio non sussiste se l’interessato non fornisca prova che tale partecipazione avrebbe condotto a un decisione amministrativa anche solo in parte diversa, prova che nel caso di specie non c’è stata».
In conclusione, dopo quattordici anni dal bando l’impresa, ormai in liquidazione, ha dovuto dire addio all’incentivo.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4310/2017

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