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Indennizzato come «edificabile» il fondo agricolo espropriato per inserirlo in un’area industriale

di Paola Rossi

La Cassazione dà torto contemporaneamente al Comune e al privato che, sull’indennizzo per l’esproprio di un’area rurale passata a zona D perchè inserita nel Piano per insediamenti industriali, contestavano la misura e il criterio applicati dalla Corte di appello. Il Comune non poteva pretendere di indennizzare con la decurtazione del 25 per cento - prevista per le spoliazioni con vincolo preordinato alla realizzazione di un’opera pubblica, incompatibile con la proprietà privata - l’esproprio di un fondo inserito nel Piano per insediamenti industriali, con precedente variazione della zonizzazione. Infatti, come dice la Cassazione con la sentenza n. 20722/2017 depositata ieri, la variante del Piano regolatore generale che inserisce un’area rurale in zona a carattere edificabile determina che, in fase di espropriazione, si tiene conto del regime di edificabilità legale applicato omogeneamente per quella zona.

La contestazione del Comune
A nulla è valsa la precisazione del Comune che sottolineava come la variante al Piano regolatore con la nuova zonizzazione era attuativa dell’accordo di programma per infrastrutture industriali. Secondo il Comune la modifica decisa con l’accordo di programma non sarebbe strumento conformativo, ma mera attuazione di un vincolo già preordinato all'esproprio. E perciò la modifica non avrebbe fatto acquistare autonomamente una nuova natura, a vocazione edilizia, all’area con conseguenze sulla determinazione delle indennità. L’accordo di programma avrebbe modificato la zonizzazione al solo fine di realizzare l'opera pubblica con apposizione del correlato vincolo espropriativo. La Cassazione respinge l’argomento poiché l’accordo di programma, concluso in data anteriore al decreto di esproprio, ha determinato una variante che ha comportato l'ampliamento delle aree di insediamenti produttivi. Il principio che viene ribadito dalla Cassazione prevede che l'inclusione di un'area in un piano per insediamenti industriali implica l'acquisizione della «prerogativa di edificabilità, non diversamente dall'inserimento in un piano di zona per l'edilizia economica e popolare» e anche se l'originaria natura era di suolo agricolo.
Data la valenza conformativa delle previsioni programmatiche contenute nei piani regolatori - compresa la rilevanza Ici del fondo - non si può sorvolare sul carattere edificatorio che viene assegnato dalla zonizzazione. Per l’applicazione della pretesa decurtazione sull’indennizzo l’espropriazione avrebbe dovuto riguardare un intervento di riforma economico-sociale espressamente previsto con norme di legge ad hoc. Viene ribadito, infatti, l'indirizzo di legittimità secondo cui l'intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25 per cento del valore venale del bene nel calcolo dell’indennità, deve riguardare l'intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate.

La pretesa maggiore dei privati
I privati sostenevano da parte loro che non fosse congrua l’indennità stabilita dalla Corte di appello a causa dell’applicazione da parte dei giudici del criterio sintetico- comparativo invece di quello analitico ricostruttivo. Il primo si fonda sui valori che emergono dal mercato immobiliare su beni simili a quello espropriato e il secondo sull’accertamento del costo di trasformazione del fondo. Ma la Cassazione respinge la lamentela perchè riguarda di fatto il libero apprezzamento del giudice e propone un giudizio di merito e non di legittimità sulla scelta operata. Infatti, dice la Cassazione che i due criteri non sono in rapporto di regola ed eccezione e che, quindi, la scelta del giudice, di applicarne uno piuttosto che l’altro, deve rispondere solo a canoni di effettività.

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La sentenza della Corte di cassazione civile n. 20722/2017

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