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La fusione per incorporazione non cambia i vincoli per il Comune in predissesto

di Ettore Jorio

La fusione dei Comuni di Pescara, Montesilvano e Spoltore, generativa della Nuova Pescara di poco inferiore ai 200 mila abitanti, tarda a venire alla luce. Nonostante un referendum svoltosi positivamente il 25 maggio 2014, che ha rispettivamente registrato il 70,32%, 52,23% e 51,15% dei consensi popolari, tutto tace. Nessuna legge-provvedimento regionale all'orizzonte, se non una mera indicazione di istituire il nuovo Comune a decorrere (forse) dal 2019. Ciò in quanto il legislatore abruzzese ha ritenuto che la fusione fosse un affare così delicato da essere attentamente trattato dalla Regione e, quindi, valutato in relazione alla meritevolezza dopo la scelta referendaria fatta dei residenti.

Un Comune in predissesto
Il caso di Pescara, anche perché riguarda un importante comune capoluogo di Provincia pieno di storia e di operatività produttiva, costituisce un importante esempio di esercizio di politiche aggregative, nuovo sul panorama nazionale. Per intanto, la fusione coinvolge un bacino demografico di rilievo, il più popoloso che si sia realizzato nel Paese repubblicano, dopo quello di Lamezia Terme, che conta oggi poco meno di 100mila abitanti.
In secondo luogo, coinvolge un Comune, quello di Pescara, sottoposto alla procedura di riequilibrio pluriennale, il cosiddetto predissesto. Una peculiarità che fa sorgere spontaneamente un interrogativo, importante a essere risolto perché - stante a un recentissimo studio dal titolo «Lo stato di crisi degli enti locali», pubblicato dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti - i Comuni coinvolti in siffatte procedure ovvero in stato di dissesto, sono ad oggi numerosissimi. Tale interrogativo riguarda la possibilità di siffatti Comuni di potersi rendere protagonisti attivi di procedure di fusione.
Un dubbio nei confronti del quale l'Anci dovrebbe assumersi l'onere di fornire delle indicazioni, magari chiedendo alla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti di esprimersi al riguardo. Sono, infatti, tanti i Comuni interessati, a diverso titolo, alle fusioni molti dei quali in procedura di riequilibrio pluriennale ovvero dissestati.

La fusione per incorporazione
Al riguardo, è appena il caso di fare alcune considerazioni sull'argomento, che appare alquanto impervio.
Prioritariamente, occorrerebbe distinguere la tipologia di fusione cui si fa ricorso. Optando, infatti, per quella per incorporazione (così è per Pescara), ove a incorporare è un Comune in predissesto, si avrebbe in qualche modo l'occasione di giustificarne la frequenza, dal momento che la formula consentirebbe la permanenza della validità dell'originario piano di riequilibrio, per lo più decennale, di cui agli articoli 243 bis-quater del Tuel. Ciò in quanto il Comune incorporante continuerebbe a ottemperare, in una certa misura, ai propri obblighi contratti con l'adesione alla procedura di riequilibrio condivisa con la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, ossequiando, ovviamente, il contemporaneo dovere di rendere con essa compatibili i bilanci aggregati degli altri Comuni confluiti in quello consolidato cui il medesimo è tenuto.
Una opportunità, questa, che si renderebbe invece pressoché impossibile nell'ipotesi di fusione tradizionale, ovverosia per unione, atteso che la sua naturale conseguenza dell'estinzione dei Comuni che la generano, determinerebbe il venir meno delle condizioni soggettive di diritto che sono alla base della intrapresa procedura di riequilibrio. Un risultato, questo, incompatibile con la disciplina del predissesto che sancisce l'immodificabilità del primitivo strumento pianificatorio dell'equilibrio. Il tutto con conseguenze gravissime: la dichiarazione sanzionatoria del dissesto e il contemporaneo obbligo di restituzione della quota dell'apposito fondo di rotazione goduta.

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