Amministratori

«No» all’interdizione dell’impresa se il ministero non giustifica il ritardo della decisione

di Mchele Nico

È illegittimo il provvedimento ministeriale che con ritardo ingiustificato dispone l'interdizione dell'impresa dalla contrattazione con la Pa e dalla partecipazione alle gare pubbliche, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, del Dlgs n. 81 del 9 aprile 2008.
Con la sentenza n. 7358/2017 il Tar Lazio, Sezione I, spezza una lancia contro la burocrazia degli organi ministeriali e dà ragione al ricorso di un operatore economico che reclama l'esigenza di certezza della situazione giuridica connessa a una riscontrata violazione in materia di tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Benché questo genere di infrazioni sia punito con rigore stante la necessità di salvaguardare le condizioni di lavoro sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali dei lavoratori, ciò nondimeno è essenziale che l'istruttoria volta ad accertare le violazioni di legge e i conseguenti provvedimenti sanzionatori nei confronti del datore di lavoro abbia luogo in modo celere e tempestivo.

Il ritardo
Nel caso di specie, l'impresa ricorrente contesta il lasso di tempo intercorso tra la sospensione dei lavori disposta il 24 luglio 2014 dalla Direzione territoriale del lavoro per irregolarità riscontrate nell'attività di cantiere, e il decreto ministeriale di interdizione dalla facoltà di contrattare con la Pa intervenuto inspiegabilmente solo in data 17 febbraio 2017.
Il ritardo del ministero dei Trasporti nel dare corso al provvedimento sanzionatorio ex articolo 14 del Dlgs n. 81/2017 è in contrasto con le stesse direttive ministeriali di cui alla circolare n. 1733 del 3 novembre 2006, che nel dare attuazione al suddetto disposto prevede che il provvedimento interdittivo sia assunto entro 45 giorni dalla ricezione del decreto di sospensione dell'attività imprenditoriale emanato dalla competente Direzione territoriale del lavoro.
È vero che tale termine non ha carattere perentorio, ma la giurisprudenza ha più volte affermato che esso può essere superato solo in presenza di giustificazioni oggettive per la mancata adozione del provvedimento finale (Tar Lazio, Sezione I, 2 maggio 2017 n. 5054, e Sezione III, 5 luglio 2012 n. 6121).

La decisione
Nel caso in esame, invece, l'atto ministeriale non giustifica in alcun modo il ritardo di ben due anni e mezzo nel chiudere l'istruttoria e viene così annullato dal giudice amministrativo, che condanna per di più il Ministero al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente.
È il caso di notare che il termine massimo di 45 giorni che può intercorrere tra il decreto di sospensione dell'attività imprenditoriale e il provvedimento di interdizione non è scritto nel decreto legislativo, bensì in una circolare ministeriale priva, in quanto tale, di effetti obbligatori e vincolanti ex lege.
Tuttavia il giudice amministrativo, attenendosi a un pacifico indirizzo giurisprudenziale in materia, pone in rilievo che il termine non perentorio non consente alla Pa di operare senza riguardo per le aspettative dei terzi in ordine alla certezza del diritto, di modo che è da ritenersi senz'altro illegittimo il provvedimento in cui non sono evidenziate le congrue ragioni giustificative dell'avvenuto ritardo.

La sentenza del Tar Lazio n. 7358/2017

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