Amministratori

Madia: «Dal Foia un aiuto alle imprese per capire dove investire»

«Il Foia può diventare uno strumento formidabile per le imprese sane, che spesso vivono uno svantaggio competitivo per l'asimmetria informativa rispetto a chi all'interno dell'amministrazione ha più forza o semplicemente più conoscenze. I risultati dei primi mesi di applicazione sono in linea con le nostre aspettative, ma sono solo l'inizio, perché riforme come questa hanno bisogno di farsi spazio nella cultura della Pa e dei cittadini portatori di diritti».
Alla trasparenza “modello inglese” la ministra per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Marianna Madia, ha attribuito un'importanza centrale fin dall'inizio di una riforma della Pa che tra pubblico impiego e partecipate ha spesso occupato il dibattito con temi più “pesanti”. I primi numeri sul Foia, sia quelli più positivi che si registrano nella Pa centrale sia quelli più controversi che si incontrano sul territorio, non bastano però a capire se l'esperimento ha funzionato.

Ministra, i «cambi culturali» per attuare le riforme sono concetti affascinanti, ma per realizzarsi hanno bisogno di azioni concrete. Quali sono quelle necessarie a far sviluppare il Foia?
La prima è il monitoraggio costante delle risposte date dagli enti pubblici alle richieste dei cittadini: si tratta di un monitoraggio non solo a uso e consumo della Pa, perché, come prevedono anche le linee guida dell'Anac, i dati andranno pubblicati sui siti degli enti per generare un controllo sociale sul tema. La seconda leva è la formazione e proprio per questa ragione abbiamo deciso di concentrare le risorse del Pon governance sull'attuazione della riforma, e quindi anche sulla formazione delle amministrazioni in fatto di trasparenza. E poi occorre che cittadini e imprese sviluppino una compiuta consapevolezza dei loro diritti, e per questo serve un dibattito pubblico diffuso.

Non è possibile ipotizzare anche sanzioni che “aiutino” questa evoluzione colpendo chi fa resistenza passiva alla trasparenza?
Bisogna distinguere i casi. Per le Pa che non rispondono, e che quindi ignorano il diritto di sapere, è bene ribadire che i meccanismi sanzionatori esistono già, perché possono scattare le responsabilità dirigenziali che incidono sulla retribuzione di risultato, e si può arrivare al danno d'immagine sanzionato dalla Corte dei conti. Le mancate risposte, da monitorare, restituiscono infatti il dato di un'amministrazione opaca che non rispetta la legge. Diverso è il caso di chi nega l'accesso a documenti che, invece, dovrebbero essere mostrati ai richiedenti.

Diverso, ma altrettanto grave.
Proprio per questa ragione abbiamo evitato introdurre un ulteriore livello di “giudizio”, che avrebbe complicato il quadro senza dare risposte definitive. Per risolvere il problema la legge offre, infatti, un doppio strumento: una soluzione stragiudiziale davanti al responsabile della trasparenza o al difensore civico, dov'è istituito, e se questo primo passaggio non è sufficiente si può ricorrere al giudice amministrativo.

Il peso del responsabile anti-corruzione è centrale sia nel valutare la propria amministrazione sia nel dare risposte ai cittadini. Ma le Pa ne sono consapevoli? E mettono le persone giuste in quel ruolo?
Il responsabile anti-corruzione fa parte dello stesso processo che ha portato alla nascita e allo sviluppo dell'Anac e sta crescendo insieme all'Autorità.

Anche cittadini e imprese, però, vanno “formati”.
Da questo punto di vista è importante che le associazioni, anche quelle di categoria, facciano vivere le nuove regole per renderle un'abitudine degli operatori economici. In prospettiva, il Foia può essere uno strumento per aiutare a decidere se investire in questo o quel territorio, per esempio sulla base dei tempi medi impiegati dalle amministrazioni nel rilasciare le autorizzazioni: indagini preventive basate su dati certi, e non su sensazioni.

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